Aprile 14, 2022
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  • Produzione di idrogeno verde: vantaggi e opportunità

Si continua a discutere di transizione energetica, in ogni parte del globo, e della necessità di puntare con forza su forme di energia meno aggressive per l’ambiente. Sulla strada della decarbonizzazione ormai resa necessaria da un livello di stress ambientale alle stelle, una delle soluzioni di cui si è parlato molto nel corso degli ultimi anni è rappresentata dall’idrogeno verde. Se, al momento, si tratta soltanto di un’ipotesi futuribile, nel corso dell’ultimo anno il numero di progetti che lo riguardano ha avuto una crescita esponenziale. Andiamo quindi a vedere di cosa si tratti e, soprattutto, di capirne reali vantaggi e opportunità.

Cos’è l’idrogeno verde

Per idrogeno verde si intende la fonte di energia ecologica considerata una valida alternativa a quello grigio. Occorre però puntualizzare che, in realtà, l’idrogeno non è esattamente una fonte di energia, bensì un vettore energetico, ovvero un mezzo in grado di consentire l’immagazzinamento dell’energia da erogare in altre forme, ad esempio sotto quella di elettricità.

Tavola periodica – Elemento Idrogeno 1008

In forma molecolare (H2) è al contempo piuttosto raro sul pianeta, dovendo di conseguenza essere prodotto. Per farlo occorre partire dall’acqua utilizzando gli elettrolizzatori (che ne scindono la molecola tramite elettrolisi), da gas o petrolio. Se prodotto in un determinato modo può in effetti rappresentare una soluzione energetica sostenibile in grado di affiancare o sostituire fonti energetiche le quali producono un impatto maggiore a livello ambientale.

A differenza di quello grigio, prodotto con un trattamento termico chiamato steam reforming tale da prevedere impiego di vapor d’acqua del metano, l’idrogeno verde non disperde nell’ambiente anidride carbonica. Nel suo caso, infatti, il procedimento di produzione avviene per mezzo di una cattura delle particelle di anidride carbonica, con conseguente e notevole riduzione delle emissioni nell’aria e nell’atmosfera.

Il vantaggio di poter utilizzare la versione green dell’idrogeno si evince in particolare dalle semplici cifre pubblicate da IEA (International Energy Agency), secondo la quale l’idrogeno svolge un ruolo molto rilevante a livello globale. Il documento pubblicato dall’agenzia spiega come il suo apporto energetico ammonti a circa 75 milioni di tonnellate l’anno. Numeri i quali vanno a tradursi in un impatto ambientale notevole, soprattutto nel caso dell’idrogeno blu, considerato non meno inquinante di quello grigio.

Il rapporto di Wood MacKenzie

Per cercare di capire meglio le implicazioni dell’idrogeno verde, ci può venire in soccorso un recente rapporto stilato da Wood Mackenzie, intitolato “Can green hydrogen compete on cost?” (Può l’idrogeno verde competere sui costi?). Lo studio parte dalla constatazione che, ad oggi, questa soluzione energetica vanta numeri abbastanza ridotti. A minimizzarne l’impiego è in particolare la mancanza di competitività rispetto alle fonti di energia fossili.

La situazione potrebbe però iniziare a mutare presto, in considerazione dell’accresciuta mole di investimenti che lo riguardano. Se, sino al 2019, la capacità di produzione globale di elettrolizzatori stimata era di appena 200 MW, alla metà del 2021 il dato era balzato a 6,3 GW di capacità annunciata, con 1,3 GW aggiunti nel solo primo quadrimestre dell’anno.

Alla fine del quarto trimestre, i produttori di elettrolizzatori hanno poi dato vita ad una notevole implementazione dei piani industriali. In particolare, Ohmium, Clean Power Hydrogen, Green Hydrogen Systems, Sunfire e FFI hanno annunciato l’idea di varare stabilimenti su larga scala, unendosi così a Cummins, Haldor Topsoe, ITM, Nel, McPhy, Siemens, Thyssenkrupp e Plug Power. Il processo avviato dovrebbe quindi portare ad un notevole calo dei costi entro il 2025. In particolare, a calare dovrebbero essere quelli relativi agli elettrolizzatori a ossido solido e delle membrane per elettrolizzatori alcaline e polimeriche (PEM). Per effetto di questo processo l’idrogeno verde dovrebbe diventare competitivo in 12 mercati, in pratica quelli che vantano i tassi di utilizzo più elevati e i prezzi più bassi dell’elettricità rinnovabile, entro il 2030. A guidare il gruppo, il quale potrebbe infoltirsi entro il 2050 di altre dodici unità, dovrebbero essere Brasile e Cile, ove esistono le condizioni migliori per la sua diffusione. Il processo studiato da Wood Mackenzie dovrebbe quindi sfociare in un risultato ben preciso entro il 2050, quando l’idrogeno verde sarà più conveniente. Una ipotesi su cui concorda del resto anche BloombergNEF.

L’idrogeno verde in Italia

Per quanto riguarda il nostro Paese, il tema dell’idrogeno verde è stato affrontato all’interno delle linee guida preliminari della Strategia Nazionale Idrogeno, pubblicate dal Ministero dello Sviluppo Economico nel novembre del 2020.

Al loro interno sono sintetizzati gli obiettivi e le strategie tese a poterli conseguire, nel quadro del percorso di decarbonizzazione che l’Italia ha concordato con l’Europa. I contenuti di questo documento sono poi stati immessi nel Recovery Plan o Piano di Ripresa e Resilienza (PNRR) in concorso con altri, a partire dal Piano Nazionale di Intesa per l’Energia e il Clima (PNIEC) inviato a Bruxelles nel mese di gennaio del 2020.

Il programma in questione indica un obiettivo ben preciso, quello di riuscire ad ottenere un 2% circa per quanto riguarda la penetrazione dell’idrogeno nella domanda energetica italiana entro il 2030, ovvero sino a 5 GigaWatt, corrispondenti ad una riduzione delle emissioni di anidride carbonica pari 8 Mton, un dato destinato poi ad innalzarsi in una forbice tra il 13 e il 14% entro il 2050, per giungere in seguito sino al 20%.

Per riuscire nell’intento si prevedono investimenti sino a 10 miliardi di euro nella filiera dell’idrogeno, così ripartiti: tra i 5 e i 7 miliardi per la produzione, tra i 2 e i 3 in strutture di distribuzione e consumo (stazioni di rifornimento e mezzi,) e il rimanente in ricerca e sviluppo di tecnologie di settore. Si stima che grazie a questi investimenti si verrebbero a creare 200mila posti di lavoro a termine e 10mila a tempo indeterminato, con un apporto al Prodotto Interno Lordo pari a circa 27 miliardi di euro.

Il GICO e gli altri progetti del nostro Paese

A livello europeo, ci sono diverse proposte, campagne ed iniziative che puntano dichiaratamente allo sviluppo di nuove fonti rinnovabili per il futuro. Tra di esse, per il nostro Paese, occorre ricordare GICO, iniziativa coordinata dall’Università Guglielmo Marconi di Milano e che vede l’Agenzia Nazionale per le Nuove Tecnologie, l’Energia e lo Sviluppo Economico Sostenibile in qualità di partner scientifico.

La ricerca è finanziata da Horizon 2020 e il suo obiettivo dichiarato è la progettazione di nuove tecnologie in grado di portare ad un deciso rinnovamento del sistema energetico dopo il 2030, anno in cui andrà a concludersi l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, piano sottoscritto dai governi dei 193 Paesi Membri dell’ONU, nel corso del 2015. Oltre alle attività di ricerca sull’idrogeno verde, tra gli obiettivi del progetto rientrano anche:

  • la valorizzazione energetica dell’anidride carbonica catturata;
  • la produzione di idrogeno verde partendo dalle biomasse e dal processo di massificazione dei sorbenti solidi;
  • il conseguimento della massima resa possibile dalle frazioni biogeniche di rifiuti, a partire da carta, legno e scarti organici.

Al fine di raggiungere tali risultati, il progetto GICO utilizza un gassificatore a letto fluidizzato prototipale e a tamburo rotante. La fase preliminare del progetto vede come teatri il Centro Ricerche Trisaia, in Provincia di Matera, e quello di Casaccia, in Provincia di Roma.

Nella seconda fase del programma è prevista anche la valorizzazione della CO2, la quale può essere trasformata in combustibile rinnovabile. Per riuscirci viene dissociata in monossido di carbonio e ossigeno, in maniera tale da consentirne l’utilizzazione sotto forma di electro-fuel.

Va precisato che il progetto GICO non rappresenta il solo progetto europeo finalizzato all’investimento in idrogeno verde. Anzi, sono già diversi i Paesi membri avviati su questa strada. Tra quelli che hanno già iniziato a promuovere lo sviluppo di questa fonte rinnovabile troviamo il Regno Unito, la Germania, la Francia e la Spagna.

L’Italia, nonostante il GICO, al momento è ancora in una posizione di arretratezza, soprattutto a causa della latitanza di risorse realmente importanti, senza le quali è difficile poter pensare di sviluppare il settore. Ci sono comunque alcuni produttori di idrogeno verde, i quali si avvalgono della collaborazione di aziende e centri di ricerca, considerata da più parti la chiave di volta per riuscire a trovare l’applicazione più adeguata per un determinato processo. Tra di essi occorre ricordare:

  • il progetto per un veicolo dotato di motore a idrogeno in grado di percorrere sino a mille chilometri, che vede la collaborazione tra Iveco e New Holland;
  • quella tra Snam e The European House-Ambrosetti per la produzione di una turbina ibrida in grado di favorire il trasporto dell’idrogeno;
  • lo studio di fattibilità avviato dalle Ferrovie dello Stato relativo all’introduzione di treni regionali convertiti ad idrogeno;
  • la progettazione di una bioraffineria alimentata da idrogeno ricavato dai rifiuti da parte di Eni e Maire Tecnimont;
  • la costruzione dell’imbarcazione Zero Emission Ultimate Ship a fuel cell da parte di Fincantieri;
  • lo studio di un sistema rivolto alla produzione on demand di idrogeno da parte della start-up STOREH Energy Storage Technologies.

Idrogeno verde: quanto costa produrlo?

Tra le problematiche collegate alla produzione di idrogeno verde, sinora a rallentarla è stata la poca o nulla convenienza a farlo. Se si confrontano i suoi costi con quelli necessari per altre fonti rinnovabili, a partire da fotovoltaico ed eolico, o anche agli altri tipi di idrogeno disponibile, ovvero grigio o blu, il paragone è per il momento improponibile.

In particolare, l’idrogeno verde è al momento attestato intorno ad un euro per chilogrammo, mentre il potere calorifico inferiore è di 33,3 kWh/kg (120 MJ). Il costo finale di un kWh è di conseguenza pari a 33,3 euro. Si tratta di un onere il quale equivale a circa tre volte quello necessario per l’idrogeno grigio o blu e sino a quindici volte quello necessario per il metano.

Si tratta, peraltro, solo di quello necessario per la produzione, cui occorre aggiungere altri costi, come quelli iniziali di investimento, per l’energia elettrica necessaria al processo e la manutenzione degli impianti. Il mix tra tutti loro rende al momento troppo oneroso il procedimento. Proprio per questo motivo, quando si discute di idrogeno verde si pensa al futuro. In attesa del quale si continua a lavorare per poter rendere conveniente da un punto di vista finanziario il rapporto tra spesa e ritorno.

Dove si potrebbe impiegare l’idrogeno verde?

L’idrogeno rappresenta una soluzione molto promettente per quanto riguarda il settore dei trasporti pesanti.

Impiegato per i camion a lungo raggio, i treni passeggeri e le navi, in concorso coi biocarburanti, potrebbe in effetti riuscire a a sostituire progressivamente il diesel. Non meno promettente è poi il suo ventilato impiego in alcuni settori dell’industria pesante, a partire dal petrolchimico e dalla siderurgia, in cui sarebbe un valido sostituto del carbone attualmente utilizzato in questi processi industriali. In pratica stiamo parlando dei settori caratterizzati da un’alta intensità energetica e dalla mancanza di soluzioni scalabili di elettrificazione, indicati perciò come hard-to-abate.

Meno spendibile è invece nel campo dei trasporti leggeri, dall’automobile sino alla bicicletta, ove l’elettrico sta dimostrandosi la soluzione ideale tra quelle ad alta vocazione ecologica. Anche per quanto concerne il riscaldamento degli edifici sembra difficile, al momento, poter pensare ad una utilizzazione dell’idrogeno, proprio in termini di impatto ambientale. Va comunque rilevato come sia al momento oggetto di dibattito l’ipotesi di utilizzare da un punto di vista infrastrutturale la rete del gas esistente per miscelarne una determinata quantità.

Le resistenze delle grandi aziende energetiche

Se l’idrogeno verde è molto promettente, come ricordato dal rapporto di Wood MacKenzie, c’è comunque un problema di non poco conto da superare. Ovvero quello rappresentato dalle forti resistenze opposte dai grandi gruppi energetici, i quali dispongono di una quantità di gas naturale e metano a cui non sembrano disposti a rinunciare senza opporre resistenza. Proprio per questo motivo sponsorizzano la soluzione rappresentata dall’idrogeno blu, ottenuto dal metano, con conseguente stoccaggio della Co2 ottenuta nel sottosuolo.

Le accuse in tal senso sono molto precise: questi gruppi, consapevoli di non poter utilizzare all’infinito il metano, cercano di riutilizzarlo e rivenderlo sotto altra veste, cercando di spingere l’opinione pubblica a pensare trattarsi di una soluzione green. La strategia da essi utilizzata è indicata come “greenwashing” e si estrinseca anche in termini di puro e semplice lobbysmo, facendo leva su spezzoni della politica che non si fanno grandi problemi etici ad accettarne i fondi. Un problema il quale potrebbe però essere spazzato via dalle politiche coordinate a livello continentale tese a favorire la transizione energetica.

La Redazione

Mi chiamo Giuseppe e sono il fondatore di GreenYourLife, un blog pensato per fornire informazioni e consigli utili per uno stile di vita più sostenibile. Sono nato e cresciuto in uno dei posti più belli del mondo, la Sardegna, e sono sempre stato attento alle tematiche ambientali.

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