Il drammatico stato in cui si dibatte il nostro pianeta è la conseguenza di un modello economico devastante. Attualmente, infatti, il ciclo di trasformazione delle materie prime, a partire dalla loro estrazione, viene condotto senza pensare eccessivamente alle sue conseguenze di carattere ambientale. Si tratta però di una politica assolutamente miope. I danni prodotti in questo modo, infatti, si vanno a ripercuotere sul PIL stesso causandone una drastica riduzione. Non solo va a diminuire la potenziale resa delle attività economiche che si fondano su una buona qualità dell’ambiente (ad esempio l’agricoltura, la pesca o il turismo), ma anche a ripercuotersi sulla salute pubblica, aumentando la necessità di spendere nei soccorsi e nella ricostruzione successiva ai disastri naturali.
Problemi che vengono invece limitati fortemente da un modello produttivo più rispettoso dell’ambiente e della persona umana, ovvero la cosiddetta economia verde. Andiamo quindi a vedere più da vicino cosa si intende per Green Economy, gli obiettivi che si prefigge e a proporne alcuni esempi.
Green Economy: cos’è precisamente?
Per Green Economy si intende il modello economico il quale consente di ridurre l’impatto ambientale del ciclo produttivo a favore di uno sviluppo sostenibile, a seguito di una analisi bioeconomica. Per riuscire a farlo, include in questa analisi non solo i benefici economici di un certo regime di produzione (in pratica l’aumento del Prodotto Interno Lordo), ma anche l’impatto ambientale collegato ad esso.
Il modello teorico di sviluppo economico che deriva da questa impostazione necessita naturalmente di forti investimenti (quindi una notevole presenza della mano pubblica) e si propone l’obiettivo di rendere più rispettose dell’ambiente le aziende. Oltre ad un massiccio afflusso di investimenti pubblici la Green Economy necessita anche di riforme politiche in grado di evidenziare l’importanza essenziale di un maggiore rispetto verso l’ecosistema per avere un ciclo economico virtuoso, ma soprattutto sostenibile.
Una concezione distorta
Sino a pochi decenni fa, il modello produttivo non badava all’impatto ambientale. Basta in effetti andare a rileggere le cronache relative alla produzione dell’acciaio a Taranto, per capire il sostanziale disinteresse verso le conseguenze di un modello produttivo basato sul semplice sfruttamento della produzione. Poi, però, Taranto è diventato un vero e proprio caso nazionale, diventando sinonimo di disastro ambientale. I dati al riguardo sono impietosi:
- 600 casi di mesotelioma nel periodo che va dal 1993 al novembre del 2021 (complessivamente in Puglia negli ultimi venticinque anni sono stati censiti 1.600 casi di mesotelioma);
- il 400% in più di casi di cancro tra i lavoratori impiegati nelle fonderie ILVA della città pugliese;
- il 50% di tumori in più tra gli impiegati dello stabilimento i quali sono stati esposti solo in modo indiretto;
- il 500% in più di tumori tra i lavoratori rispetto alla media della popolazione generale della città di Taranto non impiegata nello stabilimento;
- il triste primato della città pugliesein Italia per quanto riguarda l’incidenza di tumori.
Se la situazione sanitaria di Taranto è drammatica, occorre sottolineare come anche da un punto di vista economico il modello produttivo dell’ILVA, una volta presa la questione nella sua interezza, sia molto meno roseo di quanto si potrebbe arguire. Proprio quei danni sanitari, infatti, si vanno a riflettere in maniera pesantissima sul Sistema Sanitario Nazionale, in termini di costi che vengono addossati sulla collettività. Inoltre, resta un altro enorme problema, ovvero quello delle bonifiche mai effettuate. Si calcola infatti che all’interno degli stabilimenti siano ancora presenti non meno di 4mila tonnellate di amianto e altri materiali pericolosi per la salute.
Se la produzione dell’ILVA viene guardata da un semplice punto di vista del ritorno economico, sicuramente si rivela un affare. Ma se lo sguardo si allarga ai problemi ambientali e sanitari ad essa collegati, l’affare non c’è più, o perlomeno lo è stato solo per i privati, non certo per comunità tarantina.
Green Economy: quali gli strumenti per poterla dipanare?
Per riuscire a dare vita ad una Green Economy efficace, occorre fare leva su una serie di strumenti, tra i quali occorre ricordare:
- l’aumento dell’efficienza energetica e di produzione, ovvero l’efficientamento energetico;
- l’utilizzo di fonti di energia rinnovabile;
- il drastico abbattimento in termini di emissioni di gas serra;
- la riduzione dell’inquinamento, non solo locale, ma anche globale;
- il riciclaggio dei rifiuti domestici e industriali;
- la rigenerazione urbana, mediante strategie tese al recupero delle aree dismesse, ad un incremento delle infrastrutture verdi e alla riqualificazione del patrimonio edilizio.
I vantaggi della Green Economy
Se sono necessari forti investimenti, l’economia verde è però anche in grado di ripagarli in maniera notevole, assicurando alcuni vantaggi di non poco conto. Tra di essi, vanno sicuramente inclusi:
1. una notevole riduzione in termini di costi. Non sono poche le aziende le quali hanno potuto toccare con mano il calo dei costi conseguente a una riduzione degli sprechi derivante dalla riconversione di alcuni reparti, adottando imballaggi prodotti in maniera ecosostenibile, correggendo gli errori collegati all’utilizzo di energia e facendo un uso meno sconsiderato delle materie prime;
2. la creazione di nuovi posti di lavoro. Bioarchitetto, informatico ambientale, mobility manager, esperto in gestione dell’energia: sono queste le professioni collegate all’economia verde per le quali si prevede una grande crescita nel corso dei prossimi mesi. In particolare, si stima che da qui al 2023 per ogni 5 nuovi posti di lavoro creati in Italia uno sarà all’interno di aziende ecosostenibili. Quasi mezzo milione di nuovi professionisti green, circa il 50% in più rispetto al settore digitale.
La Green Economy nel nostro Paese
Per quanto riguarda l’Italia, nel corso degli ultimi anni sono stati fatti notevoli passi in avanti per quanto riguarda la percezione della necessità di un cambio di rotta anche dei processi produttivi. A testimoniare questa maturazione delle coscienze è il fatto che proprio il nostro Paese, tra le economie più avanzate a livello globale, è al primo posto per quanto riguarda l’economia circolare, con un 68% di riciclo complessivo, superiore di ben undici punti percentuali alla media europea.
L’Italia, in particolare, riesce a evidenziare una serie di punti chiave tali da consentire al Belpaese di posizionarsi nel gruppo di testa dei Paesi a propensione green. Nel corso degli ultimi anni, ad esempio, proprio in Italia è stato possibile conseguire un notevole abbattimento delle emissioni di gas serra, oltre i dieci punti percentuali, aggiungendosi ad un utilizzo sempre più intenso delle fonti di energia rinnovabile. Una politica aiutata anche dalle politiche portate avanti mediante i bonus dedicati a tutti coloro i quali hanno deciso di procedere alla ristrutturazione delle proprie abitazioni in direzione di un efficientamento energetico.
La Green Economy in Italia
Per quanto riguarda l’economia di stampo ambientalista nel nostro Paese, il suo avanzamento può essere desunto dagli Stati generali 2020, organizzati dal Consiglio Nazionale della Green Economy, formato da 69 organizzazioni raggruppanti le imprese italiane, in collaborazione con il Ministero dell’Ambiente, con il patrocinio del ministero dello Sviluppo economico e della Commissione europea e il supporto tecnico della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile. Nel corso dell’evento sono state lanciato alcune proposte ed indicati obiettivi per consentire all’Italia di addentrarsi ancora di più in questo territorio.
Tra quelle più interessanti rientrano ad esempio
- le innovazioni tecnologiche per la produzione di idrogeno verde;
- la richiesta di incentivi per tecnologie di riciclo dei rifiuti plastici;
- l’aumento sino al 30% del territorio e del mare sottoposto a tutela;
- la riduzione del tasso di motorizzazione privato italiano al di sotto di 500 auto ogni 1.000 abitanti entro il 2030;
- l’incremento dell’agricoltura biologica;
- il taglio dei fertilizzanti chimici;
- l’introduzione di una graduale carbon tax.
Si è anche discusso di ecobonus 110%, che in un’ottica di economia sostenibile potrebbe essere esteso fino al 2024, al fine di andare a migliorare in maniera sensibile l’efficientamento energetico degli edifici dislocati lungo la penisola.
Un’altra proposta qualificante lanciata nel corso dell’evento è poi quella tendente ad attivare le iniziative di incentivazione fiscale per l’applicazione di modelli di economia circolare nei settori della trasformazione alimentare.
Come si può capire, di carne la fuoco ce n’è molta, a patto che anche il potere politico decida di inaugurare un quadro in grado di favorire le aziende intenzionate a percorrere un cammino virtuoso, teso non soltanto al profitto, ma anche ad un modello economico meno impattante a livello ambientale, sociale e sanitario.
La Green Economy e il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza
Il tema di un’economia a forte impronta ecologica è stato affrontato anche all’interno del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), il piano che è stato messo in campo nel preciso intento di andare a fornire un aiuto agli Stati i quali sono stati colpiti in maniera drammatica dalla diffusione del Covid lungo il continente europeo.
In particolare, il PNRR è andato a focalizzare la sua attenzione sulla transizione ecologica, sul passaggio sempre più deciso alle energie rinnovabili, sulla ricerca di quelle alternative e su una nuova economia sostenibile, la quale va ad intersecarsi con l’ambito finanziario e quello della filiera agroalimentare.
La Missione 2 del PNRR, denominata Rivoluzione Verde e Transizione Ecologica, va a focalizzare la propria attenzione su alcune tematiche chiave della transizione verde, ovvero:
- l’economia circolare;
- la transizione energetica;
- l’efficientamento energetico degli edifici;
- la riduzione dell’inquinamento atmosferico;
- una gestione dei rifiuti e delle risorse più assennata;
- la mobilità sostenibile.
Obiettivo principale della missione è quello di aiutare la società nel suo complesso, dagli enti locali alle varie attività produttive, verso la decarbonizzazione e una sostenibilità ambientale maggiore rispetto a quella odierna. Gran parte degli investimenti e delle risorse sono stati affidati direttamente al MiTE (Ministero per la Transizione Ecologica), al quale spetta anche il compito di porre in atto il monitoraggio degli obiettivi.
La Missione 2 del PNRR, in relazione al tema della rivoluzione verde, provvede a dispiegarsi mediante le seguenti componenti e i relativi stanziamenti di fondi:
1. M2C1, per l’agricoltura sostenibile e l’economia circolare, per un totale di 6,47 miliardi di euro in cui sono inclusi i fondi del PNRR, del React EU e del Fondo Complementare. In particolare, è prevista la definizione di una strategia per l’economia circolare tale da includere non solo i principi di riciclo e riuso, ma anche il ruolo chiave dell’ecodesign (progettazione sostenibile), e di altri aspetti come bioeconomia, blue economy e utilizzo di materie prime critiche. La strategia introdurrà anche una serie di indicatori e strumenti per il monitoraggio. Sono poi stanziati 600 milioni di euro per alcuni progetti pilota tesi alla realizzazione di progetti innovativi in tema di gestione e trattamento dei rifiuti in alcune filiere strategiche, a partire dai rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE), dal tessile e dalle plastiche. In questi progetti sono inclusi sistemi di monitoraggio ambientale, ad esempio l’utilizzo dei droni, e tesi all’impiego di tecnologie di intelligenza artificiale, al fine di combattere e prevenire eventuali scarichi illegali. La componente mira poi a migliorare la gestione dei rifiuti e la raccolta differenziata, rafforzando gli impianti di trattamento rifiuti, in particolare nelle aree meridionali. Infine, si propone di promuovere lo sviluppo di una filiera agricola e alimentare più intelligente e sostenibile, in modo tale da ridurne l’impatto ambientale;
2. M2C2, teso a favorire la transizione energetica e la mobilità sostenibile, cui è stato destinato un fondo pari a 25,36 miliardi di euro. Il suo sforzo va a concentrarsi energia rinnovabile, idrogeno, rete e mobilità sostenibile, con l’obiettivo prioritario di conseguire obiettivi di decarbonizzazione attraverso cinque linee di riforme e investimenti: rinnovabili e agro-voltaico, reti intelligenti e comunità energetiche, produzione e utilizzo dell’idrogeno, trasporto locale e mobilità sostenibile, supply-chain e competitività;
3. M2C3, rivolto all’efficientamento energetico e alla riqualificazione degli edifici, sia residenziali che pubblici, obiettivi per i quali sono stati stanziati 22,24 miliardi. Per i primi, è previsto il rafforzamento del superbonus 110%, per i secondi, si tratti di scuole, istituti giudiziari o altre strutture comunali, le misure puntano alla riqualificazione energetica di circa 50mila edifici l’anno, tale da produrre un risparmio energetico pari a 209 Ktep e la conseguente riduzione delle emissioni di CO2 nell’aria;
4. M2C4, con il compito di tutelare il territorio e le risorse idriche del Paese, con 15,37 miliardi di euro di finanziamento. L’obiettivo prioritario è in questo caso quello di produrre una riduzione pari a non meno del 15% per quanto concerne le perdite nelle reti di acqua potabile. Al momento quelle della rete nazionale si attestano nell’ordine del 39% di media, facendo capire quanto sia importante un intervento di questo genere. Le risorse che sono state stanziate dal PNRR in questo particolare ambito si propongono anche un’altra missione, la prevenzione dei rischi idrogeologici, la salvaguardia delle aree verdi e delle biodiversità e l’eliminazione dell’l’inquinamento delle acque e del terreno.
Il complesso delle risorse, pari a 69,94 miliardi di euro, ovvero il 37% dei fondi totali messi a disposizione dal PNRR, dovrà essere impiegato in un arco temporale dal 2021 al 2026.
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