Maggio 23, 2022
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  • Emission Trading europeo (ETS): che cos’è e come funzionano le aste

Il problema del mutamento climatico in atto è estremamente complesso e, come tale, esige una serie di risposte in grado di rivelarsi all’altezza della situazione e delle aspettative dei movimenti che si battono contro il surriscaldamento globale.

Nel tentativo di contrastarlo, l’Unione Europea ha dato vita ad una serie di strumenti tesi a ridurre in maniera economicamente efficiente le emissioni di gas a effetto serra. Il principale di essi è considerato l’Emission Trading System (EU ETS), ovvero il Sistema per lo scambio delle quote di emissione. Andiamo quindi a vagliarlo per cercare di capirne non solo il funzionamento, ma anche l’effettiva utilità e gli eventuali punti critici.

Sistema per lo scambio delle quote di emissione: di cosa si tratta?

L’Emission Trading System (EU ETS), noto anche come Sistema Emission Trading o Sistema ETS coinvolge non solo i Paesi che hanno aderito sin qui all’Unione Europea, ma anche l’Islanda, il Liechtenstein e la Norvegia. Ad esso fanno riferimento tutte quelle aziende le quali producono gas climalteranti, come la CO2, tenute a concorrere allo sforzo comune teso alla drastica riduzione degli effetti che le attività produttive hanno sui mutamenti climatici.

In pratica, il Sistema è teso a limitare le emissioni prodotte da decine di migliaia di impianti collegati al settore dell’energia elettrica e all’industria manifatturiera, oltre che delle compagnie aeree chiamate ad operare tra i Paesi che lo adottano.

Oltre il 40% delle emissioni di gas a effetto serra dell’UE è oggetto di questo piano, il quale prevede in particolare l’applicazione di un tetto a carico delle aziende soggette ad obblighi, per quanto riguarda le emissioni. Ad esso va a corrispondere l’assegnazione di un pari numero di quote di emissione, le quali devono essere obbligatoriamente gestite e scambiate secondo precisi protocolli indicati a livello comunitario.

Da un punto di vista normativo, c’è un testo di riferimento ben preciso che affronta il tema delle rendicontazioni, ovvero la Direttiva 2003/87/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, risalente ormai al 13 ottobre 2003. Proprio essa, infatti, va ad istituire un sistema per lo scambio di quote di emissioni dei gas a effetto serra nella Comunità, facendo seguito alla precedente direttiva 96/61/CE del Consiglio, la quale è stata a sua volta oggetto di una lunga serie di modifiche, con l’ultima edizione rappresentata dalla Direttiva UE 2018/410.

Per quanto concerne l’obiettivo che è stato fissato al suo varo, è quello di ridurre del 43% rispetto ai livelli del 2005 le emissioni di gas climalteranti da parte dei settori sottoposti alla disciplina dal sistema. Ogni Paese, da parte sua, compreso il nostro, deve rispettare le quote indicate, emanando Piani nazionali al riguardo.

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Per quali aziende è obbligatorio l’EU ETS?

Destinatarie di questo servizio sono le Organizzazioni che appartengono a uno dei settori oggetto della relativa normativa specifica UE nota come ETS. Si tratta delle aziende produttrici di gas climalteranti, come la CO2, gli ossidi di azoto ed i perfluorocarburi.

Per quanto riguarda invece i gas e i settori che ricadono nel raggio d’azione dell’Emission Trade, sono i seguenti:

  • l’anidride carbonica (CO2) risultante dalla produzione di energia elettrica e di calore, oltre a quella prodotta dai settori industriali ad alta intensità energetica, ovvero le raffinerie di petrolio, l’aviazione civile, le acciaierie e le industrie che producono ferro, metalli, alluminio, cemento, calce, vetro, ceramica, pasta di legno, carta, cartone, acidi e prodotti chimici organici su larga scala;
  • l’ossido di azoto (N2O) derivante dalla produzione di acido nitrico, adipico e gliossilico;
  • i perfluorocarburi (PFC) provenienti dalla produzione di alluminio.

In Italia, l’ultimo provvedimento adottato per quanto riguarda lo scambio di quote è il D.lgs. 47/2020, in cui sono stabilite le disposizioni che devono essere applicate alle emissioni provenienti dalle attività indicate all’allegato I ed ai gas ad effetto serra che sono menzionati in un elenco incluso nell’allegato II del decreto.

È poi l’articolo 15 a stabilire che nessun impianto può esercitare le attività elencate nell’allegato I tali da comportare l’emissione di gas ad effetto serra specificati nell’allegato II. Per poterlo fare è necessario che il gestore dell’impianto sia munito dell’autorizzazione a poterlo fare. I permessi in questione sono concessi mediante modalità stabilite prima dell’entrata in vigore del provvedimento e, nel caso non siano già stati revocati, rimangono validi ai sensi dell’art. 16, comma 3.

A loro volta, i gestori degli impianti ricadenti nel campo di applicazione del decreto non dotati di un’autorizzazione, sono obbligati a presentare al Comitato la domanda di autorizzazione prevista dallo stesso articolo 16. Devono inoltre farlo almeno 90 giorni prima della data dell’avvio del funzionamento normale dell’impianto, seguendo le modalità che sono esposte all’interno della scrivania telematica riservata ai Gestori degli Impianti.

Come funziona l’EU ETS?

Come funziona l’EU ETS? In pratica, il principio che lo caratterizza è quello del “Cap and Trade”, il quale prevede i seguenti passaggi:

  1. la fissazione di un tetto teso a stabilire la quantità massima di gas climalteranti (GHG – Greenhouse Gases: CO2, CH4, N2O, HFCs.PFCs, SF6, NF3) che può essere emessa dagli impianti ricadenti nell’obbligo;
  2. all’interno del recinto fissato in questo modo, le imprese hanno la possibilità di acquistare o vendere quote in base alle proprie esigenze produttive;
  3. proprio le quote, a loro volta, rappresentano la vera e propria valuta di scambio del sistema congegnato, in quanto ogni ognuna di quelle detenute permette al suo titolare di poter emettere una tonnellata di anidride carbonica oppure l’ammontare equivalente di un altro GHG;
  4. una volta l’anno, tutte le aziende che sono parte integrante dell’UE ETS sono obbligate a restituire una quota di emissione per ognuna delle tonnellate di CO2 equivalenti che sono state emesse. Un numero limitato di tali quote viene assegnato a titolo gratuito ad alcune imprese, nel quadro delle regole armonizzate di assegnazione varate;
  5. quelle che non sono gratificate di questa cessione gratuita o che ne ricevono in quantità insufficiente a ricoprire le emissioni prodotte, sono a loro volta tenute ad acquistare quelle necessarie per i propri standard produttivi nel corso di aste organizzate all’uopo, oppure da altre aziende, vendute da chi ne ha in eccesso rispetto alle esigenze;
  6. le società che non rispettano gli obblighi del meccanismo sono colpite con sanzioni di notevole rilievo.

Quali obblighi operativi comporta per le Aziende?

Come abbiamo visto sin qui, quindi, il sistema ETS è volto soprattutto a contenere la produzione all’interno di un recinto teso al controllo delle emissioni climalteranti. In pratica, le aziende sono tenute a monitorare e rendicontare le emissioni di CO2 e/o CO2 equivalente entro e non oltre il 31 marzo di ogni anno per l’anno precedente. Inoltre, devono monitorare e comunicare il livello di attività per ognuno dei sottoimpianti detenuti, come stabilito dal Regolamento di Esecuzione (UE) 1842/2019 con le stesse scadenze temporali.

E, ancora, sono obbligate a restituire un numero di quote pari alle emissioni di CO2 e/o CO2 equivalente entro il 30 aprile di ogni anno per l’anno precedente. Per poterlo fare devono provvedere alla redazione di un Piano teso a monitorare tutte le proprie attività, il quale sarà poi oggetto di trasmissione al Ministero competente, all’interno del quale devono essere quantificate e contabilizzate le emissioni di gas serra.

Per quanto riguarda la contabilizzazione, le stesse aziende hanno la possibilità di avvalersi della Norma ISO 14064, la quale va a fornire un quadro di riferimento per la quantificazione, contabilizzazione e verifica della riduzione di emissioni di gas serra (Green House Gases – GHG) delle Organizzazioni. Mentre la verifica rispetto alle norme ISO 14064-1 e ISO 14064-2 permette l’accertamento dell’effettiva rispondenza delle dichiarazioni rispetto alla realtà per quanto concerne gli inventari, le dichiarazioni e i rapporti sulle emissioni di gas a effetto serra (GHG), oltre ai sempre possibili errori, inesattezze o vere e proprie omissioni. La verifica in proposito rappresenta in effetti il modo migliore per poter procedere alla redazione delle dichiarazioni dalle quali risulterà infine la cosiddetta carbon footprint, ovvero l’impronta di carbonio attestante l’impatto ambientale di una produzione.

La riforma del sistema è alle porte

Occorre peraltro sottolineare come il sistema ETS stia per essere riformato. La commissione Ambiente del Parlamento Europeo, infatti, ha appena rilasciato una sua proposta in tal senso, che ora intraprenderà un cammino il quale prevede il voto in assemblea plenaria e poi i negoziati con i Paesi membri dell’Unione Europea.

Secondo molti osservatori, a renderla necessaria è la pratica constatazione del fatto che sino a questo momento l’efficacia del meccanismo è stata ridotta dalla pratica dell’assegnazione gratuita, ovvero dalla regola tesa ad evitare un teorico rischio che le industrie anziché pagare possano decidere di delocalizzare fuori dal territorio continentale. I settori considerati responsabili per il 94% dell’inquinamento da manifattura ricevono tali diritti gratuitamente, un dato di fatto che ora dovrebbe decadere, almeno in parte.

Il pacchetto Fit for 55, questo il nome del provvedimento teso a riformare il sistema, prevede infatti una graduale eliminazione delle quote gratuite, tale però da andare a regime solo nel 2036, procedendo di pari passo con l’introduzione di una nuova tassa che verrebbe applicata sui beni importati da Paesi con standard ambientali più permissivi, la carbon tax “alla frontiera”.

Gli europarlamentari, da parte loro, hanno più volte chiesto che tale stop sia anticipato al 2030, ritenendo ovviamente che non sia più il momento della timidezza, a fronte di una situazione sempre più preoccupante.

Inoltre, chiedono che l’ETS venga applicato anche a settori sinora esclusi dal suo raggio d’azione, a partire dall’intero trasporto marittimo europeo entro il 2024 e quindi alle rotte extra Ue, pur con determinate eccezioni, a partire dal 2027. Nel nuovo regime prefigurato, anche gli yacht di lusso dovranno pagare per continuare a inquinare.

Non mancano nel novero dei nuovi settori i quali si vedranno applicare il sistema delle quote, il trasporto stradale e gli edifici. In questo caso il via dovrebbe essere in vigore dal gennaio 2025, escludendo dalla sua applicazione, almeno sino al 2029, le case e le auto dei privati, nel comprensibile intento di evitare che i cittadini siano costretti a sostenere costi aggiuntivi sino a quel momento.

Anche gli inceneritori dovranno pagare

Tra gli aspetti della discussione europea sulla riforma dell’ETS, ce n’è uno in particolare che ha interessato il nostro Paese, ovvero quello relativa alla decisione di far pagare all’interno del sistema anche gli inceneritori, esentati sino a questo momento dall’Emission Trading System.

Dal 2026, ove la decisione della commissione Ambiente dovesse essere confermata, ogni tonnellata di CO2 prodotta da questo genere di impianti dovrà essere pagata. Una decisione che va a calare come una sorta di maglio sulla discussione innescata in Italia dalla ventilata intenzione di costruire un inceneritore a Roma, appoggiata dal nuovo sindaco capitolino, Roberto Gualtieri. Si calcola che per effetto del provvedimento, il costo medio per ogni tonnellata rifiuti bruciati possa passare dagli attuali 120 euro ad almeno il doppio. Già questo dato può far capire le ricadute del meccanismo delle quote sulla vita di tutti i giorni, al di là delle tante enunciazioni teoriche.

La Redazione

Mi chiamo Giuseppe e sono il fondatore di GreenYourLife, un blog pensato per fornire informazioni e consigli utili per uno stile di vita più sostenibile. Sono nato e cresciuto in uno dei posti più belli del mondo, la Sardegna, e sono sempre stato attento alle tematiche ambientali.

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