130.000 tonnellate di sostanze chimiche vengono sparse ogni anno sui campi italiani. Dove finiscono? I dati parlano chiaro: due terzi dei fiumi e la metà delle falde acquifere sono contaminate.
Nonostante le norme europee, il controllo sembra impossibile. Un caso esemplare viene dal Po, dove un erbicida bandito 30 anni fa è ancora presente in concentrazioni quattro volte superiori nelle acque sotterranee. Le parole del rapporto fanno eco: l’unico modo per proteggere l’acqua è smettere di produrre e spargere pesticidi. Ma è davvero così semplice? O forse il problema è ben più complesso?
La diffusa contaminazione dei pesticidi: dove finiscono e cosa sta facendo l’Italia al riguardo?
In Italia, l’impiego annuo di pesticidi ammonta a circa 130.000 tonnellate. La nazione si distingue in Europa come una delle più grosse utilizzatrici di queste sostanze. Il quesito che si pone riguarda la fine di questi pesticidi: dove si disperdono una volta dispersi sul terreno?
Il monitoraggio nazionale dei pesticidi nelle acque ne evidenzia una diffusa contaminazione. I dati, reperiti sin dal 2003 ed aggiornati al 2016, mostrano che il 67% dei corpi idrici superficiali – fiumi, laghi, canali – presentano tracce di pesticidi. Per quanto riguarda le acque sotterranee, la percentuale si attesta intorno al terzo dei corpi idrici controllati. La situazione sembra preoccupante, ma qual è l’impegno delle autorità nel contrastare tale inquinamento?
Anche se l’Italia e l’Europa insieme posseggono alcune delle normative più severe a livello mondiale per la gestione dei pesticidi, non è ancora stato risolto completamente il problema dell’inquinamento da pesticidi. La normativa copre tutte le fasi del ciclo di vita delle sostanze. Tuttavia, i dati dimostrano una persistente e diffusa contaminazione ambientale. È evidente un problema nella normativa e forse ancor di più nella sua applicazione. L’utilizzo di modelli inadeguati nella fase di autorizzazione sottolinea una complessità ambientale tale che la capacità umana non risulta sufficiente a prevedere o controllare i percorsi imprevedibili di una sostanza una volta immessa nell’ambiente.
Un caso esemplare è quello del bacino del Po, il più grande corpo idrico nazionale, dove è stata ritrovata traccia di atrazina, un erbicida vietato in Italia da diversi anni. È ormai evidente che l’uomo, anche con il massimo impegno, non è ancora in grado di gestire completamente gli effetti dell’inquinamento che produce. E’ fondamentale quindi affrontare la questione con serietà e professionalità, cercando di intervenire sia sulla normativa che sulla sua applicazione.
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L’inquinamento da pesticidi: dove finiscono e come eliminarli
Esistono studi effettuati durante la fase di autorizzazione, i quali stabiliscono la persistenza ambientale o il cosiddetto “destino ambientale” di un pesticida. Secondo questi, dovrebbero essere trascorsi abbastanza anni affinché una sostanza venga eliminata dal circolo ambientale. Eppure, ci sono situazioni che smentiscono queste previsioni, come nel caso dell’erbicida atrazina nelle acque del bacino del Po, una sostanza il cui uso è bandito da tre decenni.
La realtà della situazione è preoccupante. Nonostante sia in corso una graduale eliminazione dell’erbicida nelle acque superficiali, nelle acque sotterranee non si riscontra lo stesso trend. La mancanza di luce e la scarsità di microrganismi permettono alla sostanza di perdurare, creando un ambiente in cui i processi di detossificazione – quali la diluizione ambientale – avvengono lentamente.
L’acqua sotterranea del bacino del Po, ad esempio, registra una concentrazione di atrazina quattro volte superiore a quella rilevata nel fiume. Questa situazione è un esempio eloquente di quanto avviene per altre sostanze chimiche pericolose rilasciate nell’ambiente.
Esiste un solo modo per impedire la contaminazione dell’acqua di cui dipende la nostra vita: porre fine alla produzione e al rilascio di pesticidi nell’ambiente. Invece, l’inquinamento da pesticidi continua e le sostanze nocive per l’ambiente si stanno accumulando. L’intervento per la sospensione risulta complesso e, in alcuni casi, il tempo necessario per osservare dei cambiamenti significanti è estremamente lungo, paragonabile a tempi geologici.
Conclusione
Nonostante le numerose norme volte a regolamentare l’uso dei pesticidi, l’ambiente è ormai contaminato. Due terzi delle acque superficiali e un terzo di quelle sotterranee in Italia presentano residui di queste sostanze chimiche.
Uno dei motivi è che i modelli adottati per autorizzarne l’impiego non sono in grado di prevederne la dispersione, data la complessità dei sistemi naturali. Un esempio lampante è quello dell’atrazina, erbicida vietato in Italia oltre 30 anni fa ma ancora presente, e in maggior concentrazione, nelle falde acquifere del bacino del Po.
Se vogliamo evitare che le risorse idriche necessarie alla vita siano compromesse irreversibilmente, forse è arrivato il momento di rinunciare all’uso dei pesticidi per sempre?
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