Aprile 13, 2022
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  • Cosa sono le bioplastiche e come vengono utilizzate

La plastica monouso rappresenta un grande problema per l’umanità. Il suo utilizzo, infatti, non solo comporta l’inquinamento dell’intero pianeta, ma va anche ad alimentare il settore dei combustibili fossili, del petrolio e del gas fossile, contribuendo quindi ad aggravare l’emergenza climatica in corso. Anzi, si può dire che proprio la plastica è l’unico settore in cui l’industria legata ai combustibili fossili trova riparo per poter continuare a inquinare a tutto spiano. Un legame simboleggiato al meglio dalla constatazione che Shell, ExxonMobile, Chevron Phillips e Ineos producono anche la plastica monouso per le grandi multinazionali.

Se nel 1950 la produzione di polimeri plastici si attestava a due milioni di tonnellate, nel 2015 ha raggiunto quota 380 milioni di tonnellate, come ha svelato un articolo pubblicato sulla rivista ScienceAdvances. Un incremento tale da comportare una lunga serie di problemi, tra cui quello rappresentato dall’inquinamento da plastiche abbandonate in natura.

Per dare una risposta al problema, nel corso degli ultimi anni sono state sviluppate le cosiddette bioplastiche, ovvero nuovi polimeri derivati da fonti naturali. Si tratta di un mercato decisamente in ascesa se si considera che secondo gli ultimi dati forniti da European Bioplastics, l’associazione di categoria del settore in Europa, la sua capacità di produzione globale potrebbe aumentare da 2,11 milioni a 2,87 milioni di tonnellate nell’arco del quinquennio 2020-2025. Andiamo dunque a conoscere più da vicino le bioplastiche e i loro possibili utilizzi.

Cos’è la bioplastica?

Con il termine bioplastica si indica una sostanza plastica in cui la biomassa organica, interamente o in parte, va a sostituire le tradizionali molecole prodotte dal petrolio. Tra i maggiori vantaggi assicurati da alcuni di questi materiali c’è la biodegradabilità. Occorre comunque precisare che spesso si fa confusione, andando a includere nella categoria cose che non dovrebbero farne parte.

Per produrla vengono utilizzate materie prime rinnovabili come cellulosa e amido, derivati molto spesso da canna da zucchero e mais. Non sempre però, la differenza dai polimeri più utilizzati basati sul petrolio si traduce in prodotti biodegradabili.

Plastiche durevoli a lunga degradazione
Plastiche durevoli a lunga degradazione

Per essere etichettata come biodegradabile, la plastica deve riuscire a degradarsi in un tempo relativamente breve, tale da andare in un arco tra le poche settimane e alcuni mesi. Tecnicamente, infatti, tutti i materiali sono biodegradabili, ma a mutare è il tempo necessario per portare a termine il procedimento. Quelle che esigono tempi tecnici più lunghi vanno a formare la categoria delle plastiche durevoli.

A contribuire alla biodegradazione sono funghi, microbi e altri microrganismi dando vita a processi enzimatici notevolmente complessi. Alcuni polimeri plastici a base di petrolio, però, riescono a decomporsi in un lasso di tempo meno lungo rispetto a quello necessario a materiali basati su biomasse organiche.

Se la decomposizione ha luogo in un sito dedicato al compostaggio, si parla poi di plastiche compostabili. Nella categoria in questione vanno a rientrare i materiali plastici in cui, una volta terminato il processo la plastica non è in grado di essere distinta da un punto di vista visivo, dovendo obbligatoriamente trasformarsi in acqua, anidride carbonica, composti inorganici o biomassa.

Nel corso del processo di decomposizione, la plastica compostabile non rilascia residui tossici. Per portarlo a termine, nel caso di alcune materie plastiche è possibile utilizzare i semplici giardini delle abitazioni, ma in quelli più complessi è impossibile prescindere da siti realizzati appositamente, caratterizzati da temperature molto più elevate.

Se canna da zucchero e mais sono le due materie prime usate maggiormente in questo ambito, non sono però le sole. Basti ricordare ad esempio il premio conferito a Elif Bilgin nel 2013 per essere riuscito a creare bioplastica utilizzando all’uopo le bucce di banana. Mentre in Europa si utilizzano quelle delle patate e del mango per il packaging del settore alimentare.

Quali sono i campi di utilizzazione della bioplastica?

Occorre anche sottolineare come le bioplastiche non sono nate di recente, se solo si pensa come già oltre un secolo fa la Ford utilizzasse mais e olio di mais nei processi di fabbricazione di alcune parti delle sue vetture.

Contenitore in bioplastica per alimenti
Contenitore in bioplastica per alimenti

Attualmente la bioplastica è utilizzata oltre che per l’automotive e i contenitori alimentari, per le buste della spesa, per gli utensili biodegradabili e in molti altri casi analoghi. Polimeri di questo genere trovano poi impiego nell’ingegneria, ad esempio sotto forma di involucri per gli accessori elettrici ed elettronici. Senza contare il largo impiego nel settore tessile e in quello agricolo. Nell’immediato futuro altri settori potrebbero comunque aggiungersi alla lista.

Quali sono i benefici e gli svantaggi della bioplastica?

Da quanto detto sinora, dovrebbe essere abbastanza chiaro come il maggiore beneficio garantito dall’utilizzo di bioplastica è a livello ambientale. L’impatto ecologico è molto meno forte rispetto alla plastica normale, permettendo all’ecosistema un impatto meno stressante. In particolare, proprio questo materiale potrebbe dare una soluzione, almeno parziale, al problema rappresentato dai depositi di plastica negli oceani, a patto che siano smaltite in maniera corretta.

La sua crescita in termini di popolarità deriva anche dall’assenza del famigerato biosfenolo A, comunemente indicato con la sigla BPA. Questo materiale è molto usato nella produzione degli oggetti in plastica, in particolare per gli impieghi che ne esigono la rigidità. È però sospettato di produrre effetti collaterali a livello di salute umana, in particolare a livello ormonale, anche se non sono ancora state prodotte prove al proposito. All’inizio del 2018, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) ha abbattuto drasticamente la soglia consentita di BPA all’interno degli involucri alimentari. Inoltre, ha deciso di bandirne l’utilizzo per la produzione di contenitori di alimenti riservati a neonati e bambini.

In queste applicazioni la risposta più idonea è rappresentata proprio dalle bioplastiche, soprattutto in considerazione del fatto che il processo di fabbricazione di alcune di esse è in grado di limitare al massimo l’emissione di gas serra che è invece caratteristica delle plastiche basate su prodotti petroliferi.

Se sinora abbiamo visto i vantaggi derivanti dall’utilizzazione della bioplastica, per avere un quadro informativo più completo occorre però anche mettere sull’altro piatto della bilancia gli svantaggi. Tra di essi occorre ricordare:

  • la difficoltà di distinzione tra tipologie di bioplastica. Non è infatti semplice stabilire quale materiale sia biodegradabile, compostabile o riciclabile. Da questa difficoltà deriva una complicazione non da poco, ovvero un modo di differenziare erroneo. In pratica troppe persone operano il processo di differenziazione in maniera approssimativa e ad aggravare il problema subentra anche la latitanza di luoghi idonei alla raccolta dei rifiuti, abbattendo notevolmente il valore del procedimento;
  • la coltivazione delle materie prime rinnovabili e di biomassa rischia di andare a pesare in maniera rilevante sull’impronta di carbonio di questi materiali.

L’acido polilattico (PLA): andiamo a conoscere meglio una delle bioplastiche più note.

Tra i materiali più promettenti nel settore delle bioplastiche occorre ricordare l’acido polilattico (noto anche con la sigla PLA), un poliestere termoplastico in grado di essere prodotto da macchinari già esistenti, come quelli che sono utilizzati nei processi di produzione delle materie plastiche per il settore petrolchimico. Una caratteristica importante, in quanto in tal modo il PLA è in grado di garantire notevoli vantaggi in termini puramente finanziari.

L’acido polilattico, o polilattato mette in evidenza una serie di caratteristiche simili a quelle del polipropilene, del polietilene e del polistirene. Stando ai dati attualmente disponibili, il PLA è in questo momento il secondo materiale bioplastico prodotto a livello globale, attestandosi immediatamente alle spalle dell’amido termoplastico, sostanza di norma utilizzata per la fabbricazione di utensili e sacchetti per scopi alimentari.

A favorirne la diffusione è in particolare il fatto che l’acido polilattico può essere utilizzato in una lunga serie di applicazioni. Se la pellicola da cucina è la più popolare in assoluto, va ricordato il suo impiego anche per i dispositivi medici biodegradabili e le bottiglie.

Filamenti in PLA per stampa 3d

Può anche essere oggetto di utilizzo in qualità di materiale termoretraibile, in quanto tende a restringersi se posizionato nella vicinanza di fonti di calore. E, ancora, si segnala un uso sempre più diffuso nel settore della stampa 3D.

L’unico vero svantaggio dell’acido polilattico può essere ravvisato in una particolare sensibilità al calore. Un difetto il quale rende impossibile impiegarlo al fine di produrre tazze e contenitori alimentari, delegati ad ospitare di frequente bevande o pietanze molto cale.

Bioplastica: quali sono le prospettive?

Sostituire con polimeri la maggior parte delle materie plastiche prodotte con prodotti petroliferi: questa è la direzione indicata dalla necessità di reperire nuovi processi produttivi meno impattanti sull’ambiente. Un obiettivo giudicato possibile già nel 2009 da un rapporto pubblicato dai ricercatori dell’Università di Utrecht, per conto dell’European Polysaccharide Network of Excellence e l’European Bioplastics Association.

Lo studio, elaborato da Martin K. Patel, Li Shen and Juliane Haufe, ha infatti avanzato l’ipotesi secondo la quale oltre il 90% del consumo globale di polimeri può essere sostituito da un punto di vista tecnico impiegando materie prime rinnovabili al posto di quelle usate tradizionalmente. Se si tratta di una conclusione teorica e, almeno nel breve periodo, la realtà si discosta notevolmente dalla previsione, occorre anche sottolineare che non mancano dati pratici a sostegno di questa tesi.

Ove si riuscisse a imboccare con decisione questa strada, però, i vantaggi per la qualità della nostra vita sarebbero indubbi. Basti pensare che grazie all’approvazione della legge nazionale sulle bioplastiche, nel periodo tra il 2010 ed il 2013 l’Italia è stata in grado di ridurre del 50% il volume degli shopper in circolazione.

La Redazione

Mi chiamo Giuseppe e sono il fondatore di GreenYourLife, un blog pensato per fornire informazioni e consigli utili per uno stile di vita più sostenibile. Sono nato e cresciuto in uno dei posti più belli del mondo, la Sardegna, e sono sempre stato attento alle tematiche ambientali.

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