Le emissioni di CO2 sono ormai da anni sotto la lente d’ingrandimento dell’opinione pubblica. Il problema da esse posto è relativo alla pericolosità della produzione, eccessiva in termini ambientali.
Quando l’anidride carbonica è troppa, infatti, a risentirne è lo strato di ozono il quale circonda il nostro pianeta, impedendo che i raggi ultravioletti UV-C provenienti dal sole possano provocare danni agli esseri umani.
Inoltre, la CO2 è considerata la principale responsabile del surriscaldamento globale (global warming), fenomeno portato all’attenzione dell’opinione pubblica dal movimento Fridays for Future.
Si tratta di tematiche quindi importantissime, da affrontare con la maggior forza possibile nel corso dei prossimi anni, prima che si verifichi un ulteriore peggioramento di una situazione che è già oggi problematica.
Resta però da capire se le scelte politiche vadano nella direzione giusta e, soprattutto, se quelle spesso errate possano essere compensate da comportamenti personali. Un tema il quale sembra ormai essersi diffuso nella parte più responsabile della popolazione globale.
Cos’è l’anidride carbonica

L’anidride carbonica (CO2) è un gas inodore e incolore il quale viene rilasciato nell’atmosfera terrestre principalmente a seguito della combustione di materiali contenenti carbonio e dei processi di decadimento del legno e di altre sostanze vegetali. A rimuoverlo dall’atmosfera sono principalmente le piante, le quali utilizzano il carbonio estratto dalla CO2 al fine di costruire i loro tessuti, e gli oceani, ove la stessa si dissolve.
Quella presente nell’atmosfera è oggetto di costante rilevazione ormai dal 1958, anno in cui fu il geochimico statunitense Charles David Keeling ad effettuare le prime misurazioni in tal senso presso il Mauna Loa Observatory delle Hawaii. Nel corso delle sue rilevazioni Keeling scoprì che, mese dopo mese, la CO2 atmosferica segue la stagione di crescita nell’emisfero settentrionale, ove è contenuta la maggior parte della superficie terrestre del mondo, quindi anche delle piante.
La sua produzione eccessiva è una diretta conseguenza dell’attività industriale tipica dei paesi maggiormente sviluppati e proprio per questo motivo ha sempre rappresentato motivo di grande polemica politica. Quelli in via di sviluppo, infatti, hanno opposto a lungo un deciso diniego di fronte alla proposta di non forzare i processi produttivi, vedendo la richiesta alla stregua di un sotterfugio per impedirne la crescita e, di conseguenza, l’affermazione sui mercati globali.
Occorre a questo punto ricordare come per milioni di anni sono stati i sistemi naturali presenti nel nostro pianeta a regolare la produzione di gas serra, permettendone di conseguenza l’assorbimento e l’emissione con una velocità costante, tale da permettere alle temperature di mantenersi a un livello che ha agevolato lo sviluppo della vita.
Prima della rivoluzione industriale, i livelli di CO2 erano attestati a circa 270 parti per milione (ppm), per poi raggiungere quota 313 ppm nel 1960 e salire a 400 ppm all’inizio del 2020. Secondo un gran numero di scienziati operanti nel settore del clima dovrebbero essere ridotti a 350 ppm al fine di poter evitare gli effetti del cambiamento climatico.
Naturalmente, il carbonio che nel frattempo è stato disperso nell’atmosfera non sarà smaltito in tempi rapidi e i suoi effetti rischiano di rivelarsi distruttivi, con conseguenze di lungo periodo. Proprio per cercare di evitarli occorre mettere in atto politiche in grado di contenerle al massimo ed evitare che il mutamento climatico travolga un pianeta già in stato di accelerato stress.
I dati europei sull’anidride carbonica
Dei livelli eccessivi di anidride carbonica si parla ormai da molto tempo. La situazione è quindi sotto il monitoraggio istituzionale e anche i leader dell’Unione Europea hanno dovuto affrontare il problema. In particolare, nell’ottobre 2014 è stato messo a punto un quadro per la politica energetica e climatica il quale ha provveduto a fissare gli obiettivi in vista del 2030. In questa ottica all’interno del Consiglio Europeo è stato approvato un obiettivo vincolante, ovvero una riduzione interna pari almeno al 40% delle emissioni di gas serra, rispetto ai livelli rilevati nel corso del 1990.
Nel novembre del 2018, la Commissione europea ha inoltre proceduto all’adozione di una visione strategica a lungo termine per un’economia climaticamente neutra entro il 2050, in linea con le decisioni dell’accordo di Parigi, i quali avevano cercato di mantenere l’aumento della temperatura ben al di sotto dei 2 gradi, e intensificare gli sforzi per riuscire a mantenerlo a 1,5.
Una ulteriore integrazione è poi arrivata nel corso del 2020, quando l’Unione Europea ha deciso di portare il precedente obiettivo del 40% in termini di riduzione delle emissioni nocive al 55%, sempre entro il 2030.
Si è trattato della pratica presa d’atto dei rischi corsi dal pianeta in presenza di un livello delle stesse che può essere considerato fuori controllo. Se è lodevole l’intento di partenza, secondo molti scienziati si tratta ancora di un obiettivo insufficiente per riuscire a dare effettivo sollievo al pianeta.
Come è possibile ridurre le emissioni CO2 in maniera economica
Come abbiamo visto, la questione relativa alle emissioni di anidride carbonica è stata affrontata ai massimi livelli, elaborando una serie di piani tesi a ridurla. In attesa di capire se gli stessi sono più o meno adeguati, occorre cercare di capire che anche le nostre azioni di ogni giorno possono dare il loro contributo in tal senso. Se sembra un’esagerazione, occorre sottolineare come secondo gli esperti proprio le piccole azioni quotidiane sono in grado di ridurre del 20% le emissioni nocive.
Ad esempio, si potrebbe ridurre al minimo l’utilizzo degli autoveicoli, acquistare quelli elettrici o ibridi, fare ricorso al car sharing. E, ancora, utilizzare per quanto possibile la bicicletta per gli spostamenti brevi e il mezzo pubblico per recarsi sul luogo di lavoro. Senza contare i risultati che possono essere prodotti da una vettura sottoposta ad una perfetta manutenzione e, quindi, in grado di funzionare al meglio.
Anche all’interno delle abitazioni è possibile dare il proprio contributo alla riduzione delle emissioni di anidride carbonica. Tra i possibili accorgimenti vanno ricordati quelli tesi a ridurre il consumo di energia elettrica, in particolare attenuando gli sprechi in tal senso.
Per farlo è possibile ottimizzare l’isolamento termico del proprio immobile, puntando su infissi di qualità in grado di ridurre le perdite di aria calda in inverno e impedire che ne entri in estate. Oppure limitare al massimo il consumo di acqua calda e puntare sull’utilizzazione di elettrodomestici in grado di conseguire un basso consumo. Senza dimenticare, anche in questo caso, che la manutenzione periodica dei condizionatori e della caldaia è in grado di consentire loro un funzionamento migliore tale da tradursi in minore spesa in bolletta e maggiore sicurezza.
Attenzione al concetto di km 0

Un altro aiuto all’ambiente può poi provenire dalla riduzione della filiera alimentare. Quando si acquista in un supermercato o in un esercizio commerciale, occorre tenere a mente il fatto che il trasporto delle merci avviene su gomma, producendo traffico ed emissioni nocive.
Occorre quindi cercare di ridurre al massimo le distanze tra i punti di produzione degli alimenti e quelli dove gli stessi sono acquistati e consumati. In particolare, si possono organizzare gruppi di acquisto presso i venditori più prossimi di prodotti agricoli, con la possibilità ulteriore di risparmiare sui costi di acquisto e favorire i piccoli produttori del nostro Paese, che rischiano di essere sempre più marginalizzati in tempi di globalizzazione imperante.
Al tempo stesso, si dovrebbe privilegiare il concetto di stagionalità, ovvero evitare di mangiare in inverno pesche, ciliegie a altra frutta tipicamente estiva proveniente dall’America Latina. Per portare queste merci in Italia è infatti organizzare lunghe spedizioni tali da riversare nell’atmosfera grandi quantità di anidride carbonica.
Un concetto come quello del km 0 è in effetti in grado di portare ad una rivoluzione in tema di consumo tale da comportare notevoli vantaggi per la tenuta ambientale.
Attenzione al consumismo sfrenato
La nostra epoca è notoriamente caratterizzata da un consumismo sfrenato. In pratica troppe persone sono prese dalla frenesia di avere l’ultimo modello di un cellulare o di un autoveicolo, alimentando in tal modo un circolo perverso.
In tal modo si continua a favorire la deleteria usanza dell’usa e getta che, se da un lato fa la felicità delle aziende produttrici, dall’altro comporta un continuo ricambio destinato ad accelerare la fine anche di prodotti che, pure, sono lontani dalla fine del loro ciclo vitale.
E, a proposito di fine vita, occorre sottolineare come le stesse aziende siano solite privilegiare modelli produttivi in grado di affrettare l’obsolescenza dei prodotti. Una tendenza contro la quale soltanto da poco le istituzioni hanno iniziato a muoversi. In attesa che le azioni di contrasto a questa pratica si affinino, i consumatori dovrebbero dal canto loro evitare di procedere all’acquisto dell’ultimo modello di un determinato dispositivo, soltanto perché lo impone la moda. Un vero e proprio riflesso condizionato favorito da modelli culturali errati, tale però da continuare a provocare danni di non poco conto all’ambiente.
Le ultime novità in tema di riduzione delle emissioni: il cherosene solare e l’impatto dell’abbattimento di San Siro
Se sinora abbiamo visto cosa è possibile fare a livello personale per ridurre il nostro impatto in termini ambientali, è comunque chiaro che a rivestire un ruolo chiave in tal senso dovranno essere le scelte politiche e l’avanzamento tecnologico reso possibile dalla ricerca.
Per quanto riguarda il secondo aspetto, una buona notizia arriva dalla Svizzera, ove è stata intrapresa una partnership tra la Swiss International Air Lines (Swiss), parte del gruppo Lufthansa, e Synhelion, una società che ha portato avanti nel corso degli ultimi anni studi tesi a trasformare la luce del sole e l’anidride carbonica in combustibile.
Il risultato di questa collaborazione si è concretizzato sotto forma di cherosene solare, un carburante sintetico ecosostenibile che potrebbe svolgere un ruolo di rilievo nel processo di decarbonizzazione del settore dei trasporti aerei, responsabile di circa il 25% dell’anidride carbonica emessa ogni anno dall’uomo.
Ormai dal 2016 l’azienda svizzera sta lavorando su un processo basato sull’utilizzo di luce solare al fine di produrre questo combustibile sintetico facendo leva sull’utilizzazione di grandi specchi mobili, denominati eliostati, i quali consentono di raccogliere la radiazione del sole e indirizzarla a un ricevitore, una vera e propria torre solare. In tal modo è possibile condurre ad un aumento della temperatura all’interno del ricevitore che, una volta varcata la soglia dei 1500 gradi va ad innescare una reazione in grado di trasformare anidride carbonica e vapore acqueo in una miscela di idrogeno e monossido di carbonio, il syngas.
Il gas prodotto in tal modo è poi oggetto di conversione in benzina, diesel o carburante liquido per aerei, per mezzo di processi industriali standard. L’eccesso di energia viene a sua volta immagazzinato grazie all’utilizzo di un accumulatore di energia termica (Tes, thermal energy storage), tale da rendere possibile un funzionamento continuo 24 ore su 24 senza interruzioni di sorta, anche ove non sia presente la radiazione solare.
Il risultato definitivo vede una piena neutralità climatica dell’intero processo, reso possibile dal fatto che la combustione ottenuta produce la stessa quantità di anidride carbonica che è stata utilizzata durante il suo processo di fabbricazione. In pratica, l’impronta di carbonio che ne risulta non va ad influire sulla concentrazione finale di carbonio nella biosfera, risultando di conseguenza pari a zero.
Per quanto concerne invece l’impatto di scelte politiche sbagliate, una notizia di rilievo è quella relativa all’impatto in termini di CO2 che potrebbe avere la demolizione dello stadio Di San Siro e la sua ricostruzione tesa a dare una nuova casa alle società calcistiche di Milano, Inter e Milan.
Secondo Paolo Pileri, professore di pianificazione e progettazione urbanistica al Politecnico, un’operazione di questo genere andrebbe a liberare nell’atmosfera circa 210mila tonnellate di anidride carbonica. Secondo i calcoli da lui condotti, il peso solo degli interventi di demolizione e di ricostruzione dello stadio saranno pari a più del 5% di emissioni di anidride carbonica dell’intera città. Un dato tale da far perdere in un colpo solo tutto quello che è stato guadagnato tra il 2005 e il 2020 in termini di emissioni. Una tesi che è stata immediatamente contestata da alcune forze politiche, ad ennesima riprova del fatto che proprio dalle istituzioni continuano ad arrivare segnali al minimo contraddittori, tali da poter, in ultima analisi, andare a neutralizzare gli atti personali di ognuno di noi.
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