Nella discussione in atto relativa alla transizione energetica verso forme energetiche in grado di favorire la decarbonizzazione, un posto di assoluto riguardo spetta all’idrogeno, nonostante al momento rappresenti soltanto una piccola parte del mix energetico disponibile.
Peraltro, quando si parla di idrogeno occorre operare una distinzione fondamentale, quella tra verde e blu. Si tratta in effetti di cose molto diverse e in grado di avere un impatto notevolmente differente sull’ambiente. Andiamo quindi a vedere più da vicino la questione.
Idrogeno blu e verde: di cosa si tratta?
Per capire meglio la questione occorre partire da un presupposto fondamentale: l’idrogeno è incolore, tanto da essere del tutto trasparente e, allo stato gassoso, assolutamente invisibile. Rappresenta l’elemento più abbondante dell’universo conosciuto e sul nostro pianeta la stragrande maggioranza degli atomi di idrogeno sono parte di molecole come il gas naturale (principalmente metano, CH4) o l’acqua (H2O). In particolare, è molto rara l’esistenza di molecole di idrogeno puro (H2) in natura, e nessuna di queste è verde o blu, in quanto l’idrogeno molecolare puro è un gas incolore e non tossico.
Quando si attribuisce ad esso un colore, è soltanto per riuscire a definire le modalità che ne guidano l’estrazione dalle molecole e con cui viene ad essere combinato. Per essere più precisi, l’idrogeno può essere suddiviso in colori sulla seguente scala:
- nero, quello più avversato dagli ambientalisti. Il motivo di questa avversione deriva dal fatto che l’idrogeno in questione viene estratto dall’acqua utilizzando la corrente prodotta all’uopo da una centrale elettrica a carbone o a petrolio;
- grigio, il 90% di quello attualmente prodotto. L’elemento in questione può essere utilizzato per fini industriali, a partire da quelli chimici e può rappresentare lo scarto produttivo di una reazione chimica, oppure essere estratto dal metano (formato da idrogeno e carbonio) o da altri idrocarburi;
- blu, quello che viene estratto da idrocarburi fossili nei quali, a differenza di quanto avviene con quello grigio l’anidride carbonica scaturita nell’ambito del processo non viene liberata nell’aria, bensì catturata per essere immagazzinata;
- viola, ovvero quello estratto dall’acqua utilizzando allo scopo la corrente che viene prodotta da una centrale nucleare, quindi senza alcuna emissione di CO2;
- verde, il quale viene estratto dall’acqua utilizzando la corrente prodotta da una centrale alimentata da energie rinnovabili, ad esempio idroelettrica, solare o fotovoltaica.
Le differenze tra i vari tipi di idrogeno, quindi, non vanno individuati in una colorazione chiaramente inesistente, ma nel modo di produzione, tale da scavare una diversità sostanziale. Andiamo quindi a vedere meglio questa complessa questione e le sue ricadute in termini pratici.
Idrogeno blu: di cosa si tratta?
Per idrogeno blu, in particolare, si intende quello che viene prodotto utilizzando combustibili fossili come il gas naturale, all’interno di un impianto di produzione abbinato ad un sistema di cattura e di stoccaggio permanente della CO2 che viene prodotta nel corso del processo. L’idrogeno che risulterà da questa modalità di produzione avrà dunque il vantaggio di non generare emissioni dannose a livello ambientale e climatico.
L’idrogeno blu, però, all’interno degli obiettivi dell’UE tesi a favorire il passaggio verso forme energetiche meno nocive, rappresenta un passaggio fondamentale verso la transizione all’idrogeno verde. Utilizzabile nel breve e medio periodo, può in effetti garantire un notevole contributo in termini di impronta carbonica, oltre che aiutare il mercato dell’energia a passare in maniera graduale verso un utilizzo sempre più significativo dell’idrogeno.
Al tempo stesso, a livello statale, produrre idrogeno blu rappresenta comunque una forma di incentivazione per gli investimenti nelle infrastrutture esistenti, in particolare per la riconversione di tratti della rete gas in previsione del trasporto di quello puro.
Cosa si intende per idrogeno verde?
Per quanto concerne invece l’idrogeno verde, con tale termine si va a definire la produzione di idrogeno che ha luogo tramite processi tali da prevedere emissioni molto contenute di CO2. I processi in questione sono due:
- l’elettrolisi, che vede l’impiego di fonti energetiche esclusivamente rinnovabili;
- la gassificazione/pirolisi in cui sono invece utilizzate le biomasse.
A differenza di quello blu, l’idrogeno verde è del tutto decarbonizzato, quindi più pulito. Nel corso del processo teso alla sua produzione, inoltre, non avviene il rilascio di alcuna quantità di CO2 nell’atmosfera. A questi primi ed evidenti vantaggi, se ne vanno poi ad aggiungere altri, ovvero i seguenti:
- l’essere completamente sostenibile, in quanto non emette alcun genere di gas inquinante nel corso della combustione o della produzione;
- il poter essere stoccato con notevole facilità. Una caratteristica che ne permette l’utilizzazione per altri scopi e in momenti successivi da quello della sua produzione;
- la notevole versatilità, che ne consente la trasformazione in energia elettrica o gas sintetico, oltre che l’utilizzazione per scopi domestici, commerciali, industriali o a favore di una mobilità più sostenibile;
- la facilità di trasporto, derivante dal fatto che può essere mixato con il gas naturale in rapporti tali da arrivare sino al 20% e viaggiare attraverso gli stessi tubi che sono utilizzati per la movimentazione del gas, sulle stesse infrastrutture;
- la possibilità di essere conservato anche per lungo tempo dopo la sua produzione dall’energia rinnovabile in eccesso, a differenza di quanto accade per l’energia solare immagazzinata nelle batterie, la quale non può essere conservata se non per periodi limitati di tempo.
Idrogeno blu e verde: le differenze in termini di costi
Un importante fattore di differenziazione tra idrogeno blu e verde è rappresentato dal costo. Al momento, l’idrogeno blu è già in grado di essere utilizzato su scala industriale, anche se con il progredire del tempo sono previsti notevoli miglioramenti in termini di produzione ed efficienza tali da poter contribuire ad una notevole riduzione dei costi. Al contrario, la produzione di idrogeno verde è ancora agli albori, con costi comprensibilmente più elevati e, per ora, non concorrenziali.
A favorirlo, almeno nelle intenzioni delle istituzioni politiche, dovrà essere l’adozione di politiche tese alla compressione delle emissioni di CO2 e incentivi su larga scala sull’idrogeno, tali da comportarne un aumento in termini di domanda. L’effetto combinato di questo mix renderà necessarie entrambe le tecnologie di produzione di idrogeno.
L’idrogeno blu e verde in Italia
Ormai da più parti si sottolinea come l’idrogeno vada considerato un elemento di grande importanza nel quadro della corsa globale verso la transizione energetica. Basta in effetti leggere quanto affermato da Industria Italiana, secondo la quale questo elemento “non genera nei suoi vari utilizzi emissioni climalteranti e inquinanti e può essere trasportato e stoccato utilizzando le infrastrutture già esistenti”.
In effetti sono in molti a concordare sul fatto che l’idrogeno rappresenti un mezzo di trasmissione dell’energia di facile immagazzinamento in grado di sfruttare le infrastrutture già esistenti. Proprio per questo può essere oggetto di sfruttamento in un momento successivo a quello della produzione e per altri scopi. Uno sfruttamento destinato a generare un indotto di grande rilievo.
A confermare le previsioni al riguardo è anche l’associazione Hydrogen Council, secondo la quale nel corso dei prossimi anni il valore complessivo dell’economia dell’idrogeno potrebbe salire dai circa 100 miliardi di dollari l’anno attuali sino ad attestarsi a quota 2.500 miliardi di dollari nel 2050.
Anche in Italia si inizia a puntare con vigore verso questa direzione. Lo ha fatto di recente Snam, che nell’ambito del suo piano industriale ha dato notevole rilevanza alla miscelazione tra gas e idrogeno nella sua rete di distribuzione per il riscaldamento domestico, in una percentuale che potrebbe situarsi tra il 10 e il 20%. È quindi una delle aziende tricolori che hanno deciso di dare seguito alle previsioni secondo cui da esso potrebbe arrivare quasi un quarto (23%) della domanda nazionale di energia entro il 2050 in uno scenario di decarbonizzazione tale da arrivare al 95%. Per facilitare il conseguimento di questo obiettivo, il gruppo ha infatti deciso di investire 3 miliardi di euro entro il 2030.
In questo quadro, occorre però operare le necessarie distinzioni tra i vari tipi di idrogeno. È infatti ormai assodato come quello grigio non sia ritenuto funzionale in un’ottica di transizione energetica. Proprio per questo motivo nell’immediato futuro i governi punteranno con sempre maggior vigore sull’idrogeno blu e verde, trovando la necessaria sponda nelle utilities, come Snam appunto, che hanno intuito per tempo la direzione che sta prendendo il mercato.
La strategia europea per l’idrogeno
L’Unione Europea ha già previsto che la produzione di idrogeno a livello continentale dovrà fare leva sulle fonti di energia rinnovabili, all’interno di un piano di crescita articolato in tre fasi. Tutto messo nero su bianco l’8 luglio del 2020, quando la Commissione Europea ha presentato “A hydrogen strategy for a climate neutral Europe”, ovvero la strategia ad hoc in cui viene delineato il percorso comune europeo teso a incentivare l’uso dell’idrogeno in tutti gli Stati membri, sulla base di quanto era già stato stabilito dal Green Deal europeo. In questo ambito, la priorità è rappresentata dalla diffusione di idrogeno verde, o rinnovabile e, nella fase di transizione, di idrogeno blu (o low-carbon).
Le tre fasi previste all’interno di questa strategia sono le seguenti:
- una prima fase tra il 2020 e il 2024, in cui l’obiettivo principale è rappresentato dalla decarbonizzazione dell’attuale produzione di idrogeno esistente e dalla promozione di nuove applicazioni. In tal modo si dovrebbe conseguire una produzione pari a 1 milione di tonnellate di idrogeno rinnovabile. La sua attuazione porterebbe come risultato l’installazione in ambito UE di almeno 6 gigawatt di elettrolizzatori per l’idrogeno rinnovabile;
- una seconda fase tra il 2024 e il 2030, in cui l’idrogeno verde diventerà parte integrante di un sistema energetico integrato. L’obiettivo strategico di questa fase è rappresentato dall’installazione di almeno 40 gigawatt di elettrolizzatori per l’idrogeno rinnovabile e la produzione sino a dieci milioni di tonnellate di idrogeno rinnovabile all’interno dell’eurozona. Ove il piano d’azione così delineato riuscisse a proseguire senza intoppi, già in questa fase l’idrogeno potrebbe conseguire un mercato sufficientemente ampio da poter favorire lo sviluppo di una domanda industriale e la conseguente estensione del suo utilizzo a nuovi settori, a partire dall’industria siderurgica, dal settore dei trasporti pesanti (ovvero ferrovie e autocarri) e da alcune applicazioni nell’ambito del trasporto marittimo.
- una terza fase, quella tra il 2030 e il 2050, in cui l’idrogeno rinnovabile dovrebbe ormai aver conseguito la maturità e aver raggiunto una applicazione su larga scala, anche nei settori più complicati nell’ottica della necessaria decarbonizzazione. Proprio in quest’ultima fase gli investimenti cumulati nell’idrogeno verde all’interno del vecchio continente potrebbero attestarsi ad una quota oscillante tra i 180 e i 470 miliardi di euro, mentre quelli per l’idrogeno a basso tenore di carbonio potrebbero posizionarsi tra i 3 e i 18 miliardi di euro.
In contemporanea con la pubblicazione della strategia che abbiamo ricordato, è stata anche presentata l’European Clean Hydrogen Alliance (Alleanza Europea per l’Idrogeno Pulito), tesa a costruire la leadership globale del continente nel settore e facilitare il conseguimento della neutralità climatica entro il 2050. L’Alleanza va a riunire l’industria, le autorità pubbliche nazionali e locali e la società civile, in pratica tutti i soggetti pubblici e privati in grado di dare il proprio contributo alla creazione di una catena europea di approvvigionamento in grado di risultare efficiente e completa proprio in un settore chiave come quello dell’idrogeno verde.
Il progetto Prometeo
Come abbiamo appena visto, dunque, l’idrogeno verde è destinato a giocare un ruolo di primo piano verso la transizione energetica in Europa. Un’ottica in cui proprio l’Italia potrebbe a sua volta rivestire un ruolo molto importante con Prometeo, acronimo di “Hydrogen PROduction by MEans of solar heat and power in high TEemperature solid Oxide electrolysers”. Si tratta del progetto europeo coordinato da Enea cui spetta il compito di andare a ridurre i costi dell’idrogeno verde.
Il progetto, in particolare, prevede di utilizzare il calore da solare ad alta concentrazione e l’energia elettrica derivante da fotovoltaico ed eolico per portare il costo dell’idrogeno verde al di sotto dei 2 euro per chilogrammo. Il piano in questione prevede la realizzazione di un prototipo di elettrolizzatore ad ossidi solidi da 25 kWe in grado di produrre 15 chilogrammi di idrogeno al giorno, in Italia, che sarà poi utilizzato in Spagna all’interno di un impianto fotovoltaico.
Per capire meglio la portata della sfida occorre aggiungere che al momento i costi di produzione dell’idrogeno verde sono stimati nel nostro Paese in un range tra i 6 e gli 8,7 € al chilogrammo, a seconda della taglia dell’elettrolizzatore. Si tratta perciò di una sfida di fondamentale importanza, in quanto vincerla permetterebbe di poter sfruttare al massimo le potenzialità del vettore energetico rappresentato dall’idrogeno al fine di decarbonizzare tutti quei settori produttivi collegati all’industria pesante che sono ancora oggi costretti ad utilizzare i combustibili fossili.
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